31/05/2021
Podere Le Ripi trova spazio nel cuore degli amanti del Brunello. Scopri i viticoltori dietro l’approccio insolito dell’azienda nella creazione dei vini Brunello.
La visione di Francesco Illy
Tra le soavi colline di Montalcino, a Castelnuovo dell’Abate, Francesco Illy ci capita un po’ per caso ed esattamente nel 1998 crea il Podere Le Ripi, dopo aver svolto svariati mestieri: l’artista, l’uomo marketing, bevuto e venduto parecchio caffè.
Un proprietario illuminato, non importa se folgorato sulla via di Damasco o altrove, ma sicuramente un individuo affascinato dalla viticoltura.
Un mirabile eclettico che vede giustamente il suolo come ambiente vivo e dinamico e che crede fermamente nel ruolo dei suoi microrganismi come interfaccia tra il mondo minerale e gli esseri viventi.
Un personaggio sui generis, che ha trovato il suo agio in questo modo di intendere la terra, dove, tra l’altro la natura sembra che abbia posto in lui un’inclinazione speciale a onorare e stimare l’agricoltura.
VI PRESENTO SEBASTIAN NASELLO
Incontriamo allora Sebastian Nasello, l’enologo e ceo della sua cantina, anche se lui stesso preferisce definirsi “il ragazzo di bottega”. Classe 1987 ed un’umiltà fuori dall’ordinario, capace di sapersi districare magistralmente nell’interpretazione del Sangiovese Grosso (e non solo) nei due versanti di Montalcino in cui sono ubicati i vigneti dell’azienda.
Anche per lui, la biodinamica è lo strumento migliore per originare un prodotto che sia salubre, nutriente e tipico, tutelando l’ecosistema da tutte quelle ripercussioni che può avere l’agricoltura in genere o comunque una qualsiasi forma di business.
LA SUA INFANZIA E I SUOI SOGNI
E così abbiamo cercato di conoscerlo un po’ meglio questo talento senese dal nome “rivoluzionario”.
Sebastian comincia a studiare enologia all’età di 14 anni, anche se non molto consapevole di tale scelta.
Malgrado ciò, possiede una certa inclinazione per il paesaggio agricolo, o meglio, una certa confidenza con gli aspetti delle pratiche agricole, perché sostanzialmente adora stare all’aperto.
E tutto questo lo affascina, perché gli interessa soprattutto trovare una forma di espressione, scappare dal calcio (football) ed emanciparsi dalle sue piccole frustrazioni della gioventù, come per esempio la sua statura allora non degna delle sue aspettative.
Il vino diventa così un’interpretazione piuttosto agognata, diventa parte di lui e non lo molla più.
LA FILOSOFIA DI SEBASTIAN
In dieci anni impara tanto, tantissimo, specialmente quello di lasciare e lasciarsi andare (vino e persona), di non sentirsi – in un certo qual modo – tirato in causa, di osservare e di interferire il meno possibile.
Una filosofia di lavoro, ma probabilmente anche di vita. Infatti “all’università non te lo insegnano, in quanto la dottrina accademica si basa su interventi, aggiunte e comunque reazioni misurabili causa-effetto”.
Non gli va a genio la definizione di enologo, perché ha capito che il vino non si fa solo con il cervello, le nozioni, le tabelle di riferimento, le analisi e via dicendo. Ci mancherebbe, in parte è vero, ma così non vengono fuori i vini emozionanti che a lui interessano.
“Più che enologi, bisogna essere filosofi”, ci ricorda ancora e “avere una buona sensibilità per tante cose, a partire dai prospetti naturalistici di vigna fino a quelli in cantina, da quelli della microbiologia fino al commerciale”.”
Ad oggi non può e non vuole dire che fa l’enologo, ma colui che partecipa “all’accompagnamento dell’uva in vino”.
Niente Affatto, anche perché la maggior parte delle sue applicazioni sono basate sulla manualità e sull’esperienza. Ed è contento e soddisfatto di applicarle al Podere Le Ripi,
in quanto più che un’azienda, essa “rappresenta una comunità, composta da ragazzi (età media intorno ai 27 anni!), indirizzati da Francesco, dove tutti ricercano un ambiente felice che effettivamente lo stesso posto offre”.
Imprese, infatti, totalmente basate sui giovani senza consulenti, con gente polivalente che lavora tutto l’anno e non stagionali, con parte dei dipendenti che sono diventati soci (come Sebastian del resto), è una cosa buona, rara e giusta. Insomma, un modello sociale unico nel settore agricolo-vitivinicolo, un team colmo di puro entusiasmo che viaggia e produce insieme.
Ma cosa vuol dire allora fare vino di qualità per Sebastian?
Ovvio, la capacità di trasmettere emozioni, senza abusare del vocabolo “biodiversità” e smascherando l’incongruenza dell’approccio comunicativo di un’azienda dalle dimensioni mastodontiche, convinta nel voler trasmettere gli stessi valori di una produzione artigianale.
IL SUO PARERE SUL VINO
Sono tanti i vini che lo ispirano e che gli scaldano l’anima.
Ma il giovane talento non è un illuso, tanto meno un visionario: primo, perché sa bene che non si possono fare tutti i vini che vuoi dappertutto; secondo, perché non vuole cadere nel vortice perverso di fare vini (forse) graditi a lui, ma che con il territorio non riescono a sposarsi, andando a cadere in un esercizio puramente manieristico.
Sebastian ama il Sangiovese per la sua indeterminatezza, lo definisce vitigno “specchio”, dove il produttore e il territorio si contemplano a vicenda. E lo venera, anche perché lascia spazio alla componente di sapienza artigiana che sta nel vignaiolo così come nel cantiniere, entrambi responsabili della sua valorizzazione e dei suoi fondamentali dettagli.
Poi ancora si commuove per la purezza di parecchi nettari dello Jura; adora quelli della Loira ed esprime un debole in assoluto per gli orange wines: non sempre sono questioni facile da spiegare con una degustazione tecnica, ma “è il corpo che ti dà la sensazione di immagazzinare una bevanda senza solfiti, pulita, cristallina, energetica”.
Quella del 2015 è, per ora, la vendemmia che più gli è rimasta impressa, quella più scioccante in cui ha compreso l’immensa aleatorietà della fermentazione, che nessun manuale ti spiega con effettiva precisione e che sposta completamente l’attenzione dalle proprie aspettative sulla reale forza della natura.
Oggigiorno il mondo del lavoro non aiuta a comprendere il valore del tempo nel vino.
“Solo chi ha la possibilità di lavorare in un’azienda per più anni lo capisce”.
Sebastian è comunque convinto che ci sia spazio per tutti e che ognuno possa seguire la propria strada senza troppi condizionamenti e senza non temere in alcun modo le mode: “il problema è solo ed esclusivamente la serietà che deve essere sempre accompagnata dalla vivacità e dall’entusiasmo”.
Intanto il vino naturale, seguendo le indicazioni di Coturri, “dove niente si aggiunge e niente si toglie” rimane la sua stella polare, la sua sana utopia, perché rincontrandolo fra 10 anni, quando avrà raggiunto quella confidenza giusta con l’uva e il luogo, allora sì che egli stesso potrà magari permettersi la definizione di quel tale lusso. “Non far sì che la parola – vino – perde di significato è la grande sfida del prossimo futuro e non far cadere così nell’oblio la sua autenticità, la sua essenza e, di nuovo, la sua libertà di espressione”.
Bravo Sebastian!
Di Lele Gobbi per Mamablip.com
La regione vinicola di Montalcino, nel cuore della Toscana meridionale, è senza dubbio una fonte di ispirazione e di risorse infinite per gli amanti del vino toscano e per i produttori di tutto il mondo. Per un altro sguardo alle cantine di Montalcino, andate al Video Index per uno sguardo più da vicino ai miracoli innati di questi vigneti guidati dall’esperto di vini italiani, Filippo Bartolotta.
Visitate la pagina del Podere Le Ripi per maggiori informazioni sui loro vini di Montalcino e la possibilità di visitare questa unica azienda vinicola.
Prenota una visita
Compila il form e ti contatteremo presto!